LIbri ad alta voce intervista Annamaria Gozzi

Cari Amici,

Abbiamo intervistato Annamaria Gozzi, che ha partecipato a Libri ad alta voce giovedì 14 ottobre (2010), con la sua ultima opera “bambini con le ruote“.

Quando hai cominciato a scrivere?
La prima poesia l’ho scritta in seconda elementare e il mio maestro mi fece un grande elogio. Scrivere è una cosa che ho sempre fatto in modo naturale e durante i compiti in classe di italiano facevo i temi anche per i miei compagni in cambio di aiuti in matematica. Ho capito però che le parole che scrivevo potevano finire nei libri in età, diciamo, “molto adulta.”

Perché? Ma soprattutto perché racconti per l’infanzia?
Semplicemente perché tutti abbiamo bisogno di storie e i ragazzi ancora di più. Da ragazzina mi sono affezionata a così tanti libri. E non mi piace collocarli secondo fasce di età, se un libro è bello lo è per tutti. Leggo di tutto dagli albi illustrati alla letteratura per “grandi”. Mi capita di entusiasmarmi per libri che commercialmente si collocano in fasce d’età definite ma che sono piccoli capolavori che tutti dovrebbero leggere. L’anno scorso per esempio mi sono fatta attrarre da un piccolo libro, l’ho preso in biblioteca nella sezione ragazzi perché aveva un titolo invogliante “Il libro di tutte le cose”. Il protagonista è un bambino di otto anni ma le sue riflessioni sono più per gli adulti. Ho scoperto con gioia che quest’anno ha vinto il premio Andersen come miglior libro over 12 anni.
Beh in una parola quello è il genere di libro che vorrei tanto saper scrivere.

L’incontro con il disegno che illustra il tuo racconto come avviene, puoi raccontarci questa esperienza, ci sono mediazioni da fare, sono due momenti separati e sovrapposti?
Normalmente l’editore decide di pubblicare un testo e poi lo fa illustrare. Quindi è sua la scelta delle immagini che raccontano graficamente la storia.
Per alcuni miei libri non ho mai conosciuto di persona l’illustratore e i miei personaggi disegnati da loro mi sono sembrati subito estranei. Personalmente preferirei vivere le storie sui due linguaggi paralleli (testo e immagine) e confrontarmi con l’illustratore in fase di stesura del testo. Non vorrei essere fraintesa, ho una ammirazione smodata per gli illustratori e a volte mi hanno suggerito loro l’inizio della storia, semplicemente credo che i progetti cresciuti a più mani siano i migliori. Per fortuna questo tipo di collaborazione esiste tra me e Giorgia Ponticelli. Curiosamente ci conoscevamo da bambine perché le nostre mamme erano molte amiche, poi però, come succede, crescendo, ci siamo perse di vista. Quando ci siamo ritrovate io avevo già pubblicato il mio primo libro e lei illustrava copertine Fantasy per case editrici importanti e, caso strano, avevamo entrambe in mente una storia dove protagonista era un sasso. E così è nato “Pop, una missione molto speciale” e da quello altre due collaborazioni editoriali ed anche adesso stiamo lavorando ad un albo illustrato che uscirà in autunno dell’anno prossimo. La storia di questo nuovo libro è nata da due nostre chiacchiere in un pomeriggio d’agosto e ha trovato subito il consenso di un editore.

Nel tuo percorso quali sono state le difficoltà maggiori per riuscire a essere pubblicata?
Mi considero molto fortunata perché la prima storia che ho inviato ad un editore è stata pubblicata. Era una piccolissima casa editrice di Guastalla e, per una bella coincidenza, stavano cercando una storia che raccontasse di un bosco e la mia lo era. Si trattava di una pubblicazione il cui incasso andava a finanziare un progetto di educazione ambientale specifico per ragazzi down. Quell’esperienza mi ha portato un gran bene.
Dopo questa iniziale fortuna ho ricevuto valanghe di no o di silenzi da tante altre case editrici, ma sono rimasta tenace anche perché la scrittura è un’attività che prima di tutto mi rende felice poi, quando le mie storie vengono scelte per essere pubblicate, sono ancora più contenta, ma non è quello l’unico scopo dello scrivere. E poi c’è anche un aspetto triste perché ogni storia è una creatura e finchè dorme in un file del computer la nutri, le cambi d’abito, ed è solo tua. Quando una storia finisce in un libro stampato cammina con le sue gambe, diventa di tutti e sai che non avrai più il potere di modificarla. Perciò ad un’iniziale grande euforia segue sempre un piccolo lutto.

Il rapporto con gli editori?
Come ho detto è un rapporto epistolare fatto molto spesso di silenzi. Poi, quando inizia la collaborazione su un progetto, allora le cose diventano più semplici e per le proposte successive il filo diventa diretto e almeno c’è scambio di opinioni e motivazioni sui rifiuti. Se invece parliamo dell’aspetto economico, le case editrici riconoscono agli autori, almeno a noi sconosciuti, una percentuale bassissima sul prezzo di copertina. D’altronde è inutile lamentarsi, anche per loro non sono tempi grassi.

Sappiamo che sei molto attiva in ambiti diversi, puoi parlarci dei tuoi laboratori o altre attività legate alla tua sensibilità di autore?
A motivare i miei percorsi è il desiderio di raccogliere storie. Le storie ci appartengono e abbiamo bisogno di condividerle e questo non riguarda solo l’infanzia. Con questo interesse mi sono avvicinata già da alcuni anni al mondo degli anziani o meglio dei vecchi, come amo chiamarli, perché la parola “vecchio” evoca saggezza e sapere. Insieme alla compagnia del Teatro dell’Orsa abbiamo sperimentato progetti di narrazione tra ospiti di Case protette o Centri Diurni e gli alunni della scuola primaria. I risultati sono stati sorprendenti e sono stati raccontati in due pubblicazioni. Sempre in tema di storie sono tra gli organizzatori della manifestazione di promozione alla lettura “Libri in Viaggio” del comune di Bagnolo e conduco con Monica Morini e Bernardino Bonzani il Laboratorio di Idee e Lettura del comune di Cavriago.

E il tuo rapporto con il dialetto?
Parlando con i vecchi mi sono accorta che ci sono espressioni e modi di dire che solo il dialetto può raccontare e i loro ricordi sono più veri se espressi in quella lingua. E poi la musicalità dei proverbi delle ninnananne è qualcosa che m’incanta. Insomma il dialetto era la lingua delle fole di mia nonna ed io non l’ho dimenticato. Mi piace l’idea di poterlo trasmettere, di leggerlo ad alta voce o di infilarlo tra libri.

La tua frustrazione e la tua soddisfazione più grande legata alla scrittura?
La frustrazione è di avere iniziato, da non so più quanti anni, un racconto fantasy che procede a singhiozzo e che forse non finirò mai. Nel frattempo ho iniziato e portato a termine tutti gli altri libri. Ogni volta che finisco un progetto riprendo in mano quel racconto e ci aggiungo un pezzetto poi passo ad iniziare tuttaltro. Non so perché faccio così.
La gioia più grande: le quattro stelle ottenuto da Coniglio Nero su Liber on Web e quindi giudicato dagli esperti come “libro da non perdere” nel panorama nazionale dei libri per ragazzi. Sinceramente io stessa non me le sarei date così tante stelle!

Qualche suggerimento a chi scrive
Non ho abbastanza esperienza in questo campo per dare consigli. So che non esiste la ricetta giusta dello scrivere. Ognuno ha un suo modo e tutti sono giusti. C’è chi costruisce a tavolino personaggi e vicende e poi cuce tutto intorno la storia, chi segue un’ispirazione e si lascia guidare… Personalmente io scrivo pezzi su fogli che tengo dovunque, in mezzo ai libri, nella borsa o in tasca, e ogni tanto li trasferisco sul computer e continuo la storia, mi succede anche di perderli naturalmente o di ritrovarli quando la storia è proseguita in modo diverso. Non credo quindi sia un modello da seguire, a volte non mi sopporto nemmeno io.
Un consiglio piccolo forse lo posso dare: credere nella propria scrittura e non avere fretta di spedire agli editori. Come per il vino c’è un tempo tecnico di maturazione delle storie e prima di inviarle è bene leggere il proprio lavoro a voce alta per sentire come suona, se alcuni punti non ci convincono meglio darsi il tempo di riscriverli.

Ed in fine, qualcosa da dire a chi amministra cultura?
Usciamo dal solito pensiero vittimistico, delle cose che vanno male, del nessuno che fa niente, dei soldi che non ci sono più e guardiamo il mondo con ottimismo. È vero viviamo un periodo difficile sotto tanti aspetti però io vedo un sacco di menti vivaci capaci di far brillare anche i tunnel più bui. L’esperienza di Libri ad Alta voce ne è un esempio. Le mie parole a chi amministra cultura sono di porgere orecchio e denaro alle persone, e sono tante, capaci di tessere micro eventi riguardo il teatro, la letteratura, la musica, l’arte perché di utenza bisognosa ce n’è parecchia. In fondo ce lo insegnano i nostri vecchi che si trovavano la sera a fare il teatro di stalla, a fare le mascherate, a leggere un libro a voce alta, a raccontare storie e, perché no, a parlare di politica. E in quel modo, la Comunità, di vecchi, giovani e bambini, cresceva più forte.

Informazioni su libriadaltavoce

“Libri ad alta voce” si propone di offrire un luogo e un pubblico a scrittori rche vogliano far conoscere le loro opere, dando voce e spazio ad autori reggiani e non solo, accompagnati di volta in volta da musica e immagini.
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